Leonardo

Fascicolo 1


La Coppa nel deserto
di Ernesto Macinai
p. 7


p.7




A ME sembra che la gioventù letterata che si avvia ora in verso la piena virilità troppo abbia indugiato ed indugi in ricerche che con l’arte non hanno che un legame esteriore e decorativo. Che alcuni, vinti dalla squisitezza di ciò che era stato fatto, pedantescamente attaccati alla tradizione, non seppero che inutilmente ripetere forme già condotte alla massima dignità senza necessariamente penetrarle ed animarle degli spiriti dei nuovi tempi; che altri, per conseguire i lor sogni accompnandosi ai primi, innamorati del suono delle parole, all’ artifizio verbale sacrificando idee ed azione, chiamarono arte una vania e volgare verbolatria; e molti, i più, alla lor defìcienza intellettuale credendo poter rimediare con leggi tolte dall'altrui esperienza e con una scaltra abilità, fattisi di ciò cupido vanto, alto proclamarono ciò che per me non è se non castità d'eunuchi. E per molto tempo ed ancora in metodi in formule in scuole, in ciò dunque che i modi per conseguir la bellezza insegna, si volle concludere l'arte, ed il bel corpo di nostra letteratura si macchiò di una tabe più innominabile di quella che l’afflisse nel Secento. E per quanto ormai i pregiudizi sappiano di rancido talmente che nessuna munificenza di sole potrà impedirne la muffa, poi che il morbo ancor non accenna a completamente sparire, è necessario far sapere che c’è chi, e sonoramente ed in bella maniera, ride della povertà dei primi, della verbolatria dei secondi e della sommamente elogiata castità degli ultimi eunuchi.
  Non io contro la precisione formale parlo in difesa di coloro che, ad essa attribuita l’angustia delle proprie idee, si diedero a sfrenate e pazze corse, chè per meglio respirare basta uscire all’aperto e toglier l’impacci che costringono il petto, ma dico che forma, anco ricchissima, ha da essere naturalmente per forza di pensiero. Che nell’opera d’arte, fra gli elementi che la compongono, deve esservi concordia ed armonia somma, e che quando la forma, la quale non è se non un mezzo di significazione, ogni ordine artistico e logico invertito, viene ad essere un fine, in modo cioè che siano per la forma le idee e non viceversa, allora si cade in un assurdità enorme quale chi voglia la persona creata per l’adornamento.
  Come oltre le verdi e gioconde rame, oltre il valido tronco robusto fino alle gemme, per le sane fibre degli alberi, vigorose ascendon le linfe, come nel corpo, per le turgide vene, dagli orecchi ai talloni scorre ricco sangue, e queste cose belle e liete, il corpo e la verzura, non posson durare senza il sangue e la linfa, cosi la forma ed ogni fenomeno artistico non sono che in virtù del pensiero da cui derivano. Che anche l'Arte è una cosa estremamente logica ordinata precisa. È l’idea che nella sua massima tensione trabocca nella più semplice forma a cui e forza e sagacia daranno poi precisione efficacia rilievo. L'idea nasce nell’artista involontariamente, ma la significazione di essa è il resultato di uno sforzo più o meno abile che è ciò che vi è al mondo di più volontario e di più riflesso. Maggiore è l’aiuto che squisitezza di fine gusto ed accorgimenti di studio gli porgeranno, tanto più alto è il culmine formale ch’egli potrà raggiungere. Egli allora, nell'impeto vigoroso dell'idea, forzerà la materia nella forma della coppa adatta a contenerne la profonda essenza. E tanto più apparirà grande quanta maggior corrispondenza vi sarà fra la preziosità di essa e la succulenza del contenuto.
  Ed invero è la forma preziosa e fatidica coppa; che, se delicata e squisita opra di forte artefice, a noi sembra alcun che di sua ricchezza aggiungersi alla prelibatezza del licore che essa contiene, ma pur sempre coppa, e, qualunque sia la sua perfezione, vaso foggiato dalla forza dell’ artefice per contenere qualche cosa di conforto o di oblio alla nostra arsura. Ch’ove intorno nè gruguglio di fonti nè primaverile ascender di linfe, ma triste ed arida sabbia cinga i nostri cuori, pur ammirandone l’incomparabil fattura, per colui che a noi porgendola si crederà ricco signore noi non potremo che avere una nuova e ben più ansiosa domanda. È una bella coppa, ma a che giova una coppa nel deserto? Ed inutile, ben inutile ci apparirà la coppa e vana e risibile la sua munificenza.
  E veramente in coloro che vengono dopo i tre nostri ultimi e grandi poeti oltre la ricerca armonica di una castigata forma io non so altro vedere. Nè come nel Cinquecento eleganza di classico stile riveste classica idealità di pensiero. Che quanto a creazioni dello spirito noi siamo assolutamente nel deserto, e non vi è nè cantar di fonti nè ascender di linfe. Sembra che essi non sappiano che raccogliere antiche forme non è proceder di un passo, e che del passato è bene servirsi come di acque sane e di succhi vitali a nutrimento del corpo e non di veste ad impaccio dei suoi movimenti. Che nel Boccaccio, oltre l’ampia tessitura della frase ed il fastoso e latino giro del periodo, è dovizia sontuosa, e fin nei puri calici dei nostri primitivi abbondevoli possiamo bere freschi licori e bevande dov'è linfa primaverile e gioia di piccoli bocciuoli che si aprono.
  E pur la forma unicamente preoccupa e solo a Lei è rivolta l’affannata ricerca attraverso i classici. Pedantesca ricerca: ch'oltre l’esterno circolo non si sa cogliere il punto interiore che lo produsse e di cui è parte. Che ogni esteriorità è logicamente connessa con l’ispirazione dell’artista con i atti da cui originò il di lui sentimento e non si può logicamente separare. Che anzi neUe opere maggiori forma e pensiero si combinarono cosi armonicamente che il piegare dall’una parte o dall'altra indicò sempre decadenza o transizione. Chi ha esuberanza d’ingegno possiede anche audacia, cioè forza d’ingegno, e va, oltre i preconcetti ed i pregiudizi, splendido d’idee, ricco e franco d’espressione. Ed i suoi sentimenti significa nuovamente, nuove coppe sostituendo a quelle troppo logore dal continuo uso dei mediocri, chè l’originalità appare sempre come qualche cosa d'individuale nel pensiero e nella forma. Ora questo decente abbigliamento un po’ classico, uniforme e non singolare, non è che mal dissimulata povertà di concetti, se non che io apprezzo questo continuo amor del passato come la solenne vigilia di una nuova aurora. E volentieri, riandando le nostre fresche ed intatte forze, lo considero come preparazione. Poi che dal classicismo seppero primo, Giosuè Carducci e dopo di Lui D’Annunzio e Pascoli, maravigliosamente trarre forza d’inspirazione, bellezza e profondità di armonie, eleganza e dignità di abbondevoli forme. E perchè anche credo che solo a traverso i nostri migliori scrittori sia raggiungibile il culmine della nuova perfezione che già intravediamo luminosa.
  E questo risolutamente affermiamo noi il cui cuore è ora pieno di tutte le cornucopie della speranza ed arde come l'officina di Vulcano e vibra come una corda di continuo eccitata e canta come una foresta. Che in sul cancello ora dischiuso del giardino di nostra giovinezza, ai miracolosi inni che la chimera trarrà dall’ arpa magica delle nostre anime, abbiamo scritto ad Epigrafe il più solenne motto finora offerto da Dante : PAROLE E SANGUE.


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